venerdì 28 settembre 2007

Il manicomio è ancora possibile???




Sto studiando per l'orale dell'esame di stato e tra le vecchie tesine spunta sempre Basaglia.
Franco Basaglia è stato uno psichiatra italiano, importante rappresentante della psichiatria italiana del Novecento. Gli si deve l'introduzione in Italia della "legge 180/78", dal suo nome chiamata anche Legge Basaglia, che introdusse una importante revisione della concezione e della previsione ordinamentale sui manicomi.
Quaranta anni dopo- legati ancora ad una legge antica ancora incerta tra l'assistenza e la sicurezza la pietà e la paura- la situazione non è di molto mutata: limiti forzati, burocrazia, autoritarismo regolano la vita degli internati per i quali già Pinel (un altro famoso psichiatra del passato) aveva clamorosamente reclamato il diritto alla libertà.




Ma chi è, in realtà, malato mentale???




In una società sempre di fretta, dove bisogna arrivare in alto a tutti i costi e poi arrivati là sopra ci si accorge di trovare il nulla, qual'è il posto di chi non accetta le regole di questo spietato adattamento??




Ovvero, può esistere una forma di adattamento al di là delle logiche convenzionali???




i certo non si può affrontare il problema con superficialità. Il matto non è uno che non riesce a studiare, lavorare o farsi una famiglia. La malattia mentale è soprattutto dolore e inaudibile sofferenza. il malato psichico, non è banalmente una persona stramba e anti-convenzionale, ma è in primis un uomo sofferente ed in molti casi il dolore mentale porta un alienante logorio cognitivo e intellettivo.




Ma quanto la società e le sue restrizioni contribuiscono ad amplificare la malattia mentale???? Quanto una polis, dove i diversi sembrano essere sempre più sbagliati, impedisce a queste persone un pur difficile adattamento?????




Il malato mentale, soprattutto prima dell'avvento degli psicofarmaci, era considerato una specie di maledizione per la propria famiglia.; una vergogna da nascondere. Se il matto di paese di duecento anni fa, trovava una seppur misera collocazione sociale, con l'avvento dll'industrializzazione e la nascita delle moderne città la psicosi diviene qualcosa da nascondere, contenere e internare a tutti i costi.


Dal momento in cui il malato oltrepassa il muro dell'internamento, entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale; viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto dalla malattia e dal ritmo dell'internamento.
Per il malato la perdita della libertà che è alla base della malattia, viene inevitabilmente identificata con la libertà di cui noi lo abbiamo privato: egli è la porta chiusa contro cui ogni progetto, ogni futuro s'infrangono.

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